martedì 10 febbraio 2015

Cecilia...una santa bella da Sindrome!

E’ che Trastevere è sempre Trastevere, non c’è niente da fa’! E’ l’unico rione dove si respira ancora un relitto di “romanità”. Lo percepisci da quelle belle frasi in romanesco che ogni tanto ti sfiorano le orecchie, da quell’odore di fritto che lusinga il tuo naso e che ti fa pregustare carciofi in pastella e fiori di zucca ripieni, da quelle insegne fuori dai locali, che hanno ancora il sapore delle “pasquinate”, con il loro tono ironico e graffiante. Una simpatia chiassosa e “caciarona”, a tratti un po’ amara e melanconica. Il romano è come la sua città, pieno di sfumature.


“Ho deciso di mettermi a dieta, ma ho perso solo tanto tempo!”, così qualcuno ha scritto con il gesso su una lavagna appesa all’esterno di una trattoria! Bèh - che dire?! - ti senti subito a casa! Attraverso vie e vicoli, piazzette che compaiono all’improvviso. Ecco ci sono. Riconosco laggiù lo slargo della strada e quel palazzetto medievale. Si quello deturpato da tutti quei tubi che sembrano delle ciminiere. Ogni volta è la stessa domanda: ma chi gli ha dato il permesso di “violentare” così quella facciata?! Vabbè, non roviniamoci la giornata. La mia destinazione è sul lato opposto della Piazza. Oggi il menù ha un'unica portata: Basilica di Santa Cecilia in Trastevere.



Devo dire, a onor del vero, che l’edificio che ho davanti non ha assolutamente l’aspetto di una chiesa, si direbbe piuttosto un palazzo, con il suo bel portale, sicuramente barocco. L’architrave di questa monumentale facciata riporta a caratteri cubitali il nome del committente, il cardinale Troiano Acquaviva, il cui stemma fa bella mostra di sé proprio sopra l’arco d’ingresso. Repetita iuvant! Come recita il Vangelo?! Che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra?! Mah! Superato l’arco, si accede ad un delizioso cortile interno, una piccola oasi di pace e bellezza.
Ora ci sta anche meno antipatico l’involucro esterno, se il suo scopo  è , a quanto pare, quello di celare e proteggere questo angolo di paradiso. Da brava archeologa la mia attenzione è immediatamente attratta da un’iscrizione collocata alla destra del portico. I miei due anni di epigrafia romana saranno pur serviti a qualcosa.


Traduzione più semplice del previsto. E’ un cippo romano, del periodo di Vespasiano (I sec. d.C.), collocato in origine lungo il pomerio, il confine della città. Una targa ricorda che è stato ritrovato nelle vicinanze e qui posto nel 1900. Il cortile ha una forma rettangolare, al centro c’è una bella fontana, sovrastata da un grande vaso, proveniente di sicuro da qualche antica domus dei paragi. Questo spazio verde è racchiuso sui lati da due monasteri: quello di destra, abitato da suore francescane d’Egitto, ha in parte mantenuto l’aspetto medievale; quello di sinistra, abitato dalle benedettine, è stato ricostruito nel XVI secolo. Le ali dei due monasteri sono raccordate al portico, o nartèce, della chiesa, sostenuto da quattro colonne ioniche. Magnifica la decorazione dell’architrave, risalente al XII secolo. E’ un mosaico in pasta vitrea policroma, con decorazione floreale e animali, di gusto veramente raffinato. A destra della facciata barocca svetta il bel campanile romanico, anch’esso del XII secolo. Questa “contaminazione” di stili e di epoche non danneggia però l’insieme, anzi direi che la loro fusione risulta decisamente armoniosa.
Entro. Si passa per un vestibolo, con le volte affrescate che immette alla navata centrale della basilica. Un barocco “gentile”, per nulla ridondante e “aggressivo”. Delizioso quel tono crema con le rifiniture in oro, pare di stare alla reggia di Versailles! Ben poco rimane dell’originale basilica di Pasquale I (IX secolo), che doveva essere piuttosto rigorosa e semplice: grandi arcate, poste sopra le dodici colonne con basi ioniche e capitelli corinzi, che reggevano dei muri in mattoni. Sopra ciascuna arcata si aprivano delle finestre con arco a tutto sesto.
Ora le finestre, del tutto modificate, si aprono sopra i coretti muniti di grate. Dietro queste grate, nelle lunghe gallerie, ricavate sopra le navate laterali, le monache potevano seguire le cerimonie religiose. Ma laggiù, nell’abside dove termina la navata centrale, qualcosa di antico e lucente già mi attrae. Forse non tutto del prisco edificio è andato perduto. E sempre là, in fondo, una candida figura, distesa sotto l’altare, sembra chiamarmi. Vorrei cedere a quel canto di sirena ma sono costretta a rinviare l’incontro. Si sta facendo tardi, ed ho degli orari da rispettare. Cominciamo dagli scavi.
Già, perché nei sotterranei della basilica, si possono vedere resti di edifici di epoca romana. Entro in una stanzetta che si apre nel fondo della navata, a sinistra dell’ingresso. C’è una suora che mi accoglie con un sorriso gentile e disponibile. “Sorella, ho fatto un po’ tardi, oltre agli scavi vorrei assolutamente vedere anche il Giudizio Universale, si può?!  “Può provarci – mi risponde - a mezzogiorno cominciano a preparare per il pranzo, ma forse, se chiede…”. Mi piace questo Paese, è possibilista, non esiste niente di assoluto e definitivo, il tentativo di sovvertire un ordine costituito è comunque legittimo. Una speranza te la danno sempre!

Di corsa faccio il biglietto e scendo nei sotterranei. Solo a Roma può bastare una scala per portarti indietro di duemila anni! All’epoca dell’impero, le mura fatte costruire da Aureliano (III sec.) comprendevano anche il quartiere posto sulla riva destra del Tevere, Transtiberim, Trastevere. In tutta l’area sorgevano giardini e ville. La collocazione della zona in un’ansa del fiume, con l’ampia disponibilità di acqua che questo garantiva, consentiva lo svolgimento di molte attività artigianali. La Notitia Urbis, registro topografico compilato in base a documenti della prefettura al tempo di Costantino (III sec.), parla di mulini, bagni, campi e templi. La disponibilità di ampi spazi consentì uno sviluppo edilizio a carattere popolare, con la costruzione di numerosissime abitazioni. Proprio una di queste la tradizione indica come la casa in cui visse Cecilia e sulle cui fondamenta fu edificata la basilica.
Caratteristico dei primi tempi del Cristianesimo era mettere a disposizione dei fedeli, per il culto, alcuni locali delle dimore gentilizie (ecclesiae domesticae); questi primi luoghi di riunione dei fedeli erano denominati Tituli e si distingevano tra loro per il nome della famiglia che concedeva i locali. Le prime testimonianze di un Titulus Caeciliae si hanno già nei secoli V e VI. Gli scavi sotto la basilica non hanno evidenziato tracce di una precedente chiesa paleocristiana, ma solo testimonianze di abitazioni. In particolare sono stati riportati alla luce i resti di una domus repubblicana che, nella prima metà del II sec. d.C., momento di maggiore espansione demografica di Trastevere, fu inglobata in un’insula, un tipo di residenza popolare, a più piani.  


Scendo le scale e mi ritrovo in quello che doveva essere un atrio o un peristilio, a giudicare almeno dai resti di colonne addossate alla parete. Restano qua e la frammenti dei pavimenti della domus , decorati a mosaico (opus signinum), di una certa eleganza e raffinatezza. Molto particolare la ristrutturazione, di età augustea, di una stanza, dove furono costruite otto vasche circolari, con rivestimento interno in laterizi. Forse dei silos destinati alla conservazione del grano.
Continuando lungo il corridoio incontro una stanza dove sono conservati alcuni sarcofagi e vari frammenti architettonici, evidentemente recuperarti durante gli scavi. Da questa sorta di lapidario  passo in un ambiente che custodisce ancora i resti dell’atrio dell’insula.



Di grande suggestione un piccolo larario: una nicchia, illuminata, contenente una lastra con bassorilievo raffigurante Minerva, evidentemente la dea protettrice della casa. Ci sono poi i resti di  un impianto termale. E’ proprio qui che la tradizione colloca l’antico balneum, dove sarebbe avvenuto il martirio della santa. Alla fine di questo percorso si giunge alla cripta che conserva le urne con i resti dei martiri.
L’aspetto odierno, in stile neobizantino, risale agli inizi del Novecento. E mentre, con aria sognante, sto ancora appesa alle grate del cancello di questo ambiente, sfolgorante di argenti, marmi e smalti dai mille colori,  all’improvviso ricordo l’avvertimento della suora. Se iniziano a mangiare mi gioco uno dei cicli pittorici più straordinari di Roma.
Ripercorro a ritroso tutte le stanze. Passo svelto, quasi di corsa e dentro di me ripeto come pungolo: “E’ tardi, è tardi!”, come il Bianconiglio di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Risalgo le scale. “Arrivederci, sorella! Allora ci provo?!” Annuisce e allarga le braccia. “Provi. Appena esce, trova il campanello alla sua destra”. Ripasso davanti all’altare, uno sguardo ancora alla Santa :“Non preoccuparti, torno!” Sono fuori. L’odore di soffritto che viene da sopra mi fa pensare che sia già avviata la fase del pranzo. Suono al citofono. Devo dare il meglio di me per sperare di convincerli a farmi entrare. “Buongiorno. So che è tardi e che è già ora di pranzo, ma mi sono attardata un po’ troppo in basilica. Se potete fare un’eccezione, vengo da lontano…”. Dall’altra parte mi giunge un rassegnato “Va bene!” , che suona per me come un coro di angeli! Mi aprono. Entro. Una ragazza con in  braccio una bimba mi dice che devo pagare a lei. Fatto. Ora arriva una suora, piccina piccina e con un’andatura un po’ dondolante. Silenziosa mi fa cenno di seguirla. Che strana atmosfera, un po’ surreale. Ma vuoi vedere che a forza di rievocare il Bianconiglio… Entriamo in un ascensore. Cerco di fare un po’ di conversazione, scusandomi ancora per la visita fuori orario. La mia compagna di ascensione mi da poca retta, chissà quante ne avrà sentite di scuse come le mie. Usciamo dall’ascensore e saliamo ancora qualche gradino. E alla fine eccolo, il Giudizio Universale di Pietro Cavallini!

Ti lascia senza parole e senza fiato. Ora ci troviamo in quella che una volta era la controfacciata della chiesa. Nel Cinquecento venne creato un piano rialzato, per la costruzione del coro delle monache e l’affresco rimase nascosto dietro. Restò scoperta solo la figura della Vergine, che pare allontanasse, come per miracolo, qualsiasi mobile, ogni qual volta si tentasse di metterglielo davanti. L’ opera fu riscoperta solo agli inizi del Novecento e venne immediatamente sottoposta ad accurato restauro e procedimento conservativo.
Inizio a fare qualche foto ma vengo immediatamente redarguita dalla mia ospite. “Ma non vede che ci sono ovunque cartelli e segnalazioni che fanno divieto di fotografare?!”. “Mi scusi, sono così presa dalla bellezza dell’affresco che non riesco a vedere quello che c’è intorno”. La mia affermazione deve averla colpita. Il “cerbero” accenna un sorriso. “Sa, è per proteggerli”. Non è proprio così, penso tra me. Senza flash una foto è assolutamente innocua. Però ho capito di avere aperto una piccola breccia. Devo approfittarne. Faccio qualche domanda. Lei mi risponde e si scioglie un po’. Chiedo di andare al di là dei sedili del coro, per vedere ancora più da vicino quella meraviglia. Acconsente. Scatto, non vista, alcune foto. Oh, si sa, il fine giustifica i mezzi!

Ora riesco anche a vedere meglio la parte più bassa dell’affresco. Angeli con la tromba chiamano a raccolta i beati e i dannati, mentre al centro spicca la Croce con i simboli della passione. Alzo gli occhi, e incontro uno sguardo che mi folgora. E’ la figura del Cristo. Che sia arrabbiato per via delle foto?! E’ rappresentato in trono, nella mandorla e circondato da angeli.
La Madonna alla sua sinistra e Giovanni Battista a destra. Seguono gli apostoli, sei per parte, seduti su scranni come in un coro, con gli sguardi rivolti verso il Cristo. Chiude l’affresco, sul lato sinistro, un’Annunciazione, su quello opposto, ciò che rimane del Sogno di Giacobbe e dell’Inganno di Isacco.

E pensare che una volta gli affreschi del Cavallini decoravano tutta la chiesa. Dell’opera di questo grande e rivoluzionario artista, attivo tra la fine del Duecento e la prima metà del secolo successivo, restano ormai pochissime testimonianze e per questo ancora più preziose. Possiamo dire che con Pietro Cavallini e  Giotto abbia inizio la nuova arte occidentale, ormai europea. La pittura bizantina aveva creato delle icone da adorare, quindi delle figure umane astratte. Il Cavallini invece riscopre l’arte antica e con essa la visione prospettica ed il carattere dei volti. E poi c’è l’uso del chiaroscuro, che da solidità e spessore alle figure. Che colori incredibili ha questo affresco! I rossi e gli azzurri si alternano con le sfumature che addolciscono l’insieme. Le piume degli angeli hanno colori che forse esistono solo in cielo. E questi volti preannunciano già una bellezza che non è eresia artistica definire rinascimentale.
“Vogliamo andare?!” Poof! Di colpo la bolla in cui stavo fluttuando si rompe e torno sulla terra. “Certo, sorella!” . Dovrà anche mangiare, la poverina! E poi io ho un appuntamento, che rimando da tutta la mattinata. Scendo. Chiudo il portone dietro di me. Rientro in basilica. Questa volta il mio passo è spedito e punta verso l’altare. Man mano che mi avvicino la scorgo, in quella sua suggestiva posa, non casuale.
Era di nobile famiglia, Cecilia. Dopo le nozze dichiarò allo sposo la sua fede cristiana e lo persuase ad accettare il voto di castità da lei professato. Anche Valeriano ed il fratello Tiburzio si convertirono e furono battezzati da papa Urbano. Per la loro fede saranno uccisi, intorno all’anno 230 dell’era cristiana. Anche Cecilia fu condannata a morte. Sarebbe dovuta morire soffocata dai vapori nel calidario della sua casa.
Ma un angelo, recandole il necessario refrigerio, la salvò da quel supplizio. Condannata alla decapitazione, sopravvisse ai tre colpi inferti dal carnefice e poiché la legge vietava di infliggere un quarto colpo,  fu lasciata agonizzante per tre giorni sul pavimento della casa, prima che spirasse. Fu sepolta, assieme ai suoi parenti, nei pressi della via Appia, nel cimitero di Protestato. La leggenda vuole che, in sogno o durante una celebrazione in San Pietro,  Pasquale I (817-824) abbia avuto la visione della santa che gli rivelava il luogo della sua sepoltura. Il papa fece allora recuperare quel corpo per trasportarlo nella chiesa di S. Cecilia, sorta nel frattempo sul luogo del suo martirio e rese splendida l’antica costruzione.
Ma la storia non finisce qui. Nel 1599, il cardinale Sfodrati, nel corso di importanti restauri alla chiesa, fece riesumare il corpo della santa, per valutarne lo stato di conservazione. Questo fu rinvenuto, ancora in perfetto stato, in una cassa di cipresso, contenuta a sua volta entro un’urna di marmo “con la veste di seta intarsiata con fili d’oro, scalza, con un velo  intorno alli capelli, giacendo con la faccia rivolta in terra, con li segni del sangue e di tre ferite sul collo”.
Il corpo, esposto per un mese alla venerazione dei fedeli, venne poi sepolto nella cripta, all’interno di una sfarzosa cassa d’argento. Fu in questa occasione che venne commissionata a Stefano Maderno la celebre statua marmorea della santa, riprodotta nella medesima posizione in cui fu ritrovata: una posa naturale, come di chi sta dormendo profondamente, le braccia tese in avanti, le mani semiaperte che indicano simbolicamente il mistero della Trinità, la faccia rivolta a terra, i capelli sparsi e sul collo il segno delle ferite.
L’artista, sebbene molto giovane e di poca esperienza, seppe ricompensare il committente con un’opera di straordinaria bellezza. Il Maderno scelse per la scultura un unico blocco di marmo greco, proveniente dal monte Pario, la cui luminosità viene esaltata, per contrasto, dalla nicchia in marmo nero in cui è collocata.


Ed eccola qui, davanti a me. Un basso cancello ci divide. Non resisto. Devo andarle più vicino. E’ ora di pranzo e sicuramente non ci sarà nessuno a rimproverarmi. Apro il cancelletto. “Sono arrivata alla fine, hai visto?!”. E intanto guardo incantata le graziose e colorate lampade liberty che decorano il suo sepolcro.



Questa è la parte della basilica che conserva ancora i capolavori più antichi. Sopra la statua della santa si trova l’altare, coronato dal prezioso ciborio di Arnolfo di Cambio, della fine del Duecento e più in alto ancora il mosaico absidale, del sec. IX, voluto da Pasquale I.
In esso si ripropone lo schema a sette figure, presente a Roma sia in Santa Prassede che in Santa Maria in Domnica (detta della Navicella), entrambe ricostruite dallo stesso pontefice. Al centro il Cristo che riceve la corona dalla mano del Padre. All’estrema sinistra Pasquale I ( con il nimbo quadrato dei viventi e con in mano il modello della chiesa), presentato da S. Cecilia che gli tiene una mano sulla spalla. All’estrema destra S. Valeriano e S. Agata con le mani coperte in segno di umiltà; S. Valeriano è presente in quanto martire e sposo di S. Cecilia, mentre S. Agata ricorda il monastero a lei dedicato, sorto vicino alla basilica. Nell’abside ci sono dei lavori in corso.
C’è una scala usata per accedere ai ponteggi. Paola, non si fa! E mentre lo dico già salgo i pioli, per ammirare più da presso uno dei mosaici più antichi e preziosi di Roma. Per i divieti non rispettati passerò per uno di quei “santi” portali che ti assicurano l’indulgenza plenaria. A Roma ce n’è un’infinità! Prima di uscire torno per un saluto a Cecilia. Fuori c’è un sole splendido.
Il cortile  ora è anche più bello, c'è una luce ideale. Scatto qualche foto. Mi siedo sul bordo della fontana, per un ultimo sguardo. Cosa avrebbe detto Stendhal?! “Uscendo da Santa Cecilia avrete un battito del cuore, la vita sarà inaridita, camminerete temendo di cadere”. Non v’è dubbio! Ho la sindrome!



9 commenti:

  1. Come sempre interessantissime ed esaurienti notizie e un bellissimo lavoro grazie

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    1. grazie, Luciano, mi fa piacere che sia apprezzato...io ci metto il cuore :-)

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  3. Lo stesso Filippo di facebook : interessante ........... qualcosa di Roma poco nota e piacevole ......... magari non è che soltanto a Roma basta scendere le scale per tornare indietro di 2000 anni ; mentre per i permessi sulle fotografie ........ comunque è una bella recensione , complimenti .

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  4. Incantevole..a bocca aperta a cercar ossigeno !! Dev'esser questa sindrome, risulta chiaro infatti che tu ne sei portatrice sana perché.. leggendoti si rimane infettati ! Grazie..!

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  5. portatrice...ma neppure tanto sana! ahahah!...thanks, Felide :-)

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  6. Una sola parola:magnifico! Questo post è incomparabile! Si legge come un romanzo di avventura e si è come sommersi nell'arte! Ed io che non ho mai visitato questa chiesa!!!

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  7. Grazie!...spero che andrai presto allora, mi piace il ruolo di "provocatrice" culturale! ;-)

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