E’
che Trastevere è sempre Trastevere, non c’è niente da fa’! E’ l’unico rione
dove si respira ancora un relitto di “romanità”. Lo percepisci da quelle belle
frasi in romanesco che ogni tanto ti sfiorano le orecchie, da quell’odore di
fritto che lusinga il tuo naso e che ti fa pregustare carciofi in pastella e
fiori di zucca ripieni, da quelle insegne fuori dai locali, che hanno ancora il
sapore delle “pasquinate”, con il loro tono ironico e graffiante. Una simpatia chiassosa
e “caciarona”, a tratti un po’ amara e melanconica. Il romano è come la sua
città, pieno di sfumature.
“Ho deciso di mettermi a dieta, ma ho perso solo
tanto tempo!”, così qualcuno ha scritto con il gesso su una lavagna appesa all’esterno
di una trattoria! Bèh - che dire?! - ti senti subito a casa! Attraverso vie e
vicoli, piazzette che compaiono all’improvviso. Ecco ci sono. Riconosco laggiù
lo slargo della strada e quel palazzetto medievale. Si quello deturpato da
tutti quei tubi che sembrano delle ciminiere. Ogni volta è la stessa domanda:
ma chi gli ha dato il permesso di “violentare” così quella facciata?! Vabbè, non
roviniamoci la giornata. La mia destinazione è sul lato opposto della Piazza.
Oggi il menù ha un'unica portata: Basilica di Santa Cecilia in Trastevere.
Devo
dire, a onor del vero, che l’edificio che ho davanti non ha assolutamente l’aspetto
di una chiesa, si direbbe piuttosto un palazzo, con il suo bel portale,
sicuramente barocco. L’architrave di questa monumentale facciata riporta a
caratteri cubitali il nome del committente, il cardinale Troiano Acquaviva, il
cui stemma fa bella mostra di sé proprio sopra l’arco d’ingresso. Repetita
iuvant! Come recita il Vangelo?! Che la tua mano destra non sappia quello che
fa la sinistra?! Mah! Superato l’arco, si accede ad un delizioso cortile
interno, una piccola oasi di pace e bellezza.
Ora ci sta anche meno antipatico
l’involucro esterno, se il suo scopo è ,
a quanto pare, quello di celare e proteggere questo angolo di paradiso. Da
brava archeologa la mia attenzione è immediatamente attratta da un’iscrizione
collocata alla destra del portico. I miei due anni di epigrafia romana saranno
pur serviti a qualcosa.
Traduzione più semplice del previsto. E’ un cippo
romano, del periodo di Vespasiano (I sec. d.C.), collocato in origine lungo il
pomerio, il confine della città. Una targa ricorda che è stato ritrovato nelle
vicinanze e qui posto nel 1900. Il cortile ha una forma rettangolare, al centro
c’è una bella fontana, sovrastata da un grande vaso, proveniente di sicuro da
qualche antica domus dei paragi.
Questo spazio verde è racchiuso sui lati da due monasteri: quello di destra,
abitato da suore francescane d’Egitto, ha in parte mantenuto l’aspetto
medievale; quello di sinistra, abitato dalle benedettine, è stato ricostruito
nel XVI secolo. Le ali dei due monasteri sono raccordate al portico, o nartèce, della chiesa, sostenuto da
quattro colonne ioniche. Magnifica la decorazione dell’architrave, risalente al
XII secolo. E’ un mosaico in pasta vitrea policroma, con decorazione floreale e
animali, di gusto veramente raffinato. A destra della facciata barocca svetta
il bel campanile romanico, anch’esso del XII secolo. Questa “contaminazione” di
stili e di epoche non danneggia però l’insieme, anzi direi che la loro fusione risulta
decisamente armoniosa.
Entro. Si passa per un vestibolo, con le volte
affrescate che immette alla navata centrale della basilica. Un barocco “gentile”,
per nulla ridondante e “aggressivo”. Delizioso quel tono crema con le
rifiniture in oro, pare di stare alla reggia di Versailles! Ben poco rimane
dell’originale basilica di Pasquale I (IX secolo), che doveva essere piuttosto
rigorosa e semplice: grandi arcate, poste sopra le dodici colonne con basi
ioniche e capitelli corinzi, che reggevano dei muri in mattoni. Sopra ciascuna
arcata si aprivano delle finestre con arco a tutto sesto.
Ora le finestre, del
tutto modificate, si aprono sopra i coretti muniti di grate. Dietro queste
grate, nelle lunghe gallerie, ricavate sopra le navate laterali, le monache
potevano seguire le cerimonie religiose. Ma laggiù, nell’abside dove termina la
navata centrale, qualcosa di antico e lucente già mi attrae. Forse non tutto del
prisco edificio è andato perduto. E sempre là, in fondo, una candida figura, distesa
sotto l’altare, sembra chiamarmi. Vorrei cedere a quel canto di sirena ma sono
costretta a rinviare l’incontro. Si sta facendo tardi, ed ho degli orari da
rispettare. Cominciamo dagli scavi.
Già, perché nei sotterranei della basilica,
si possono vedere resti di edifici di epoca romana. Entro in una stanzetta che
si apre nel fondo della navata, a sinistra dell’ingresso. C’è una suora che mi
accoglie con un sorriso gentile e disponibile. “Sorella, ho fatto un po’ tardi,
oltre agli scavi vorrei assolutamente vedere anche il Giudizio Universale, si
può?! “Può provarci – mi risponde - a
mezzogiorno cominciano a preparare per il pranzo, ma forse, se chiede…”. Mi
piace questo Paese, è possibilista, non esiste niente di assoluto e definitivo,
il tentativo di sovvertire un ordine costituito è comunque legittimo. Una speranza
te la danno sempre!
Di corsa faccio il biglietto e scendo nei sotterranei. Solo
a Roma può bastare una scala per portarti indietro di duemila anni! All’epoca
dell’impero, le mura fatte costruire da Aureliano (III sec.) comprendevano
anche il quartiere posto sulla riva destra del Tevere, Transtiberim, Trastevere. In tutta l’area sorgevano giardini e
ville. La collocazione della zona in un’ansa del fiume, con l’ampia disponibilità
di acqua che questo garantiva, consentiva lo svolgimento di molte attività
artigianali. La Notitia Urbis,
registro topografico compilato in base a documenti della prefettura al tempo di
Costantino (III sec.), parla di mulini, bagni, campi e templi. La disponibilità
di ampi spazi consentì uno sviluppo edilizio a carattere popolare, con la
costruzione di numerosissime abitazioni. Proprio una di queste la tradizione
indica come la casa in cui visse Cecilia e sulle cui fondamenta fu edificata la
basilica.
Caratteristico dei primi tempi del Cristianesimo era mettere a
disposizione dei fedeli, per il culto, alcuni locali delle dimore gentilizie (ecclesiae domesticae); questi primi luoghi
di riunione dei fedeli erano denominati Tituli
e si distingevano tra loro per il nome della famiglia che concedeva i locali. Le
prime testimonianze di un Titulus
Caeciliae si hanno già nei secoli V e VI. Gli scavi sotto la basilica non
hanno evidenziato tracce di una precedente chiesa paleocristiana, ma solo
testimonianze di abitazioni. In particolare sono stati riportati alla luce i
resti di una domus repubblicana che,
nella prima metà del II sec. d.C., momento di maggiore espansione demografica
di Trastevere, fu inglobata in un’insula,
un tipo di residenza popolare, a più piani.
Scendo le scale e mi ritrovo in quello che
doveva essere un atrio o un peristilio, a giudicare almeno dai resti di colonne
addossate alla parete. Restano qua e la frammenti dei pavimenti della domus , decorati a mosaico (opus signinum), di una certa eleganza e
raffinatezza. Molto particolare la ristrutturazione, di età augustea, di una
stanza, dove furono costruite otto vasche circolari, con rivestimento interno
in laterizi. Forse dei silos destinati alla conservazione del grano.
Continuando lungo il corridoio incontro una stanza dove sono conservati alcuni sarcofagi
e vari frammenti architettonici, evidentemente recuperarti durante gli scavi. Da
questa sorta di lapidario passo in un
ambiente che custodisce ancora i resti dell’atrio dell’insula.
Di grande suggestione un piccolo larario: una nicchia,
illuminata, contenente una lastra con bassorilievo raffigurante Minerva, evidentemente
la dea protettrice della casa. Ci sono poi i resti di un impianto termale. E’ proprio qui che la
tradizione colloca l’antico balneum,
dove sarebbe avvenuto il martirio della santa. Alla fine di questo percorso si
giunge alla cripta che conserva le urne con i resti dei martiri.
L’aspetto
odierno, in stile neobizantino, risale agli inizi del Novecento. E mentre, con
aria sognante, sto ancora appesa alle grate del cancello di questo ambiente,
sfolgorante di argenti, marmi e smalti dai mille colori, all’improvviso ricordo l’avvertimento della
suora. Se iniziano a mangiare mi gioco uno dei cicli pittorici più straordinari
di Roma.
Ripercorro a ritroso tutte le stanze. Passo svelto, quasi di corsa e
dentro di me ripeto come pungolo: “E’ tardi, è tardi!”, come il Bianconiglio di
“Alice nel Paese delle Meraviglie”. Risalgo le scale. “Arrivederci, sorella! Allora
ci provo?!” Annuisce e allarga le braccia. “Provi. Appena esce, trova il
campanello alla sua destra”. Ripasso davanti all’altare, uno sguardo ancora
alla Santa :“Non preoccuparti, torno!” Sono fuori. L’odore di soffritto che
viene da sopra mi fa pensare che sia già avviata la fase del pranzo. Suono al
citofono. Devo dare il meglio di me per sperare di convincerli a farmi entrare.
“Buongiorno. So che è tardi e che è già ora di pranzo, ma mi sono attardata un
po’ troppo in basilica. Se potete fare un’eccezione, vengo da lontano…”. Dall’altra
parte mi giunge un rassegnato “Va bene!” , che suona per me come un coro di
angeli! Mi aprono. Entro. Una ragazza con in
braccio una bimba mi dice che devo pagare a lei. Fatto. Ora arriva una
suora, piccina piccina e con un’andatura un po’ dondolante. Silenziosa mi fa
cenno di seguirla. Che strana atmosfera, un po’ surreale. Ma vuoi vedere che a
forza di rievocare il Bianconiglio… Entriamo in un ascensore. Cerco di fare un
po’ di conversazione, scusandomi ancora per la visita fuori orario. La mia
compagna di ascensione mi da poca retta, chissà quante ne avrà sentite di scuse
come le mie. Usciamo dall’ascensore e saliamo ancora qualche gradino. E alla
fine eccolo, il Giudizio Universale di Pietro Cavallini!
Ti lascia senza parole
e senza fiato. Ora ci troviamo in quella che una volta era la controfacciata
della chiesa. Nel Cinquecento venne creato un piano rialzato, per la costruzione
del coro delle monache e l’affresco rimase nascosto dietro. Restò scoperta solo
la figura della Vergine, che pare allontanasse, come per miracolo, qualsiasi
mobile, ogni qual volta si tentasse di metterglielo davanti. L’ opera fu
riscoperta solo agli inizi del Novecento e venne immediatamente sottoposta ad
accurato restauro e procedimento conservativo.
Inizio a fare qualche foto ma
vengo immediatamente redarguita dalla mia ospite. “Ma non vede che ci sono ovunque
cartelli e segnalazioni che fanno divieto di fotografare?!”. “Mi scusi, sono
così presa dalla bellezza dell’affresco che non riesco a vedere quello che c’è
intorno”. La mia affermazione deve averla colpita. Il “cerbero” accenna un
sorriso. “Sa, è per proteggerli”. Non è proprio così, penso tra me. Senza flash
una foto è assolutamente innocua. Però ho capito di avere aperto una piccola
breccia. Devo approfittarne. Faccio qualche domanda. Lei mi risponde e si
scioglie un po’. Chiedo di andare al di là dei sedili del coro, per vedere
ancora più da vicino quella meraviglia. Acconsente. Scatto, non vista, alcune
foto. Oh, si sa, il fine giustifica i mezzi!
Ora riesco anche a vedere meglio la parte più bassa
dell’affresco. Angeli con la tromba chiamano a raccolta i beati e i dannati,
mentre al centro spicca la Croce con i simboli della passione. Alzo gli occhi,
e incontro uno sguardo che mi folgora. E’ la figura del Cristo. Che sia
arrabbiato per via delle foto?! E’ rappresentato in trono, nella mandorla e
circondato da angeli.
La Madonna alla sua sinistra e Giovanni Battista a
destra. Seguono gli apostoli, sei per parte, seduti su scranni come in un coro,
con gli sguardi rivolti verso il Cristo. Chiude l’affresco, sul lato sinistro,
un’Annunciazione, su quello opposto, ciò che rimane del Sogno di Giacobbe e
dell’Inganno di Isacco.
E pensare che una volta gli affreschi del Cavallini
decoravano tutta la chiesa. Dell’opera di questo grande e rivoluzionario
artista, attivo tra la fine del Duecento e la prima metà del secolo successivo,
restano ormai pochissime testimonianze e per questo ancora più preziose. Possiamo
dire che con Pietro Cavallini e Giotto
abbia inizio la nuova arte occidentale, ormai europea. La pittura bizantina aveva
creato delle icone da adorare, quindi delle figure umane astratte. Il Cavallini
invece riscopre l’arte antica e con essa la visione prospettica ed il carattere
dei volti. E poi c’è l’uso del chiaroscuro, che da solidità e spessore alle
figure. Che colori incredibili ha questo affresco! I rossi e gli azzurri si
alternano con le sfumature che addolciscono l’insieme. Le piume degli angeli
hanno colori che forse esistono solo in cielo. E questi volti preannunciano già
una bellezza che non è eresia artistica definire rinascimentale.
“Vogliamo
andare?!” Poof! Di colpo la bolla in cui stavo fluttuando si rompe e torno
sulla terra. “Certo, sorella!” . Dovrà anche mangiare, la poverina! E poi io ho
un appuntamento, che rimando da tutta la mattinata. Scendo. Chiudo il portone
dietro di me. Rientro in basilica. Questa volta il mio passo è spedito e punta
verso l’altare. Man mano che mi avvicino la scorgo, in quella sua suggestiva
posa, non casuale.
Era di nobile famiglia, Cecilia. Dopo le nozze dichiarò allo
sposo la sua fede cristiana e lo persuase ad accettare il voto di castità da
lei professato. Anche Valeriano ed il fratello Tiburzio si convertirono e
furono battezzati da papa Urbano. Per la loro fede saranno uccisi, intorno all’anno
230 dell’era cristiana. Anche Cecilia fu condannata a morte. Sarebbe dovuta
morire soffocata dai vapori nel calidario della sua casa.
Ma un angelo,
recandole il necessario refrigerio, la salvò da quel supplizio. Condannata alla
decapitazione, sopravvisse ai tre colpi inferti dal carnefice e poiché la legge
vietava di infliggere un quarto colpo, fu lasciata agonizzante per tre giorni sul
pavimento della casa, prima che spirasse. Fu sepolta, assieme ai suoi parenti,
nei pressi della via Appia, nel cimitero di Protestato. La leggenda vuole che,
in sogno o durante una celebrazione in San Pietro, Pasquale I (817-824) abbia avuto la visione
della santa che gli rivelava il luogo della sua sepoltura. Il papa fece allora recuperare
quel corpo per trasportarlo nella chiesa di S. Cecilia, sorta nel frattempo sul
luogo del suo martirio e rese splendida l’antica costruzione.
Ma la storia non
finisce qui. Nel 1599, il cardinale Sfodrati, nel corso di importanti restauri
alla chiesa, fece riesumare il corpo della santa, per valutarne lo stato di
conservazione. Questo fu rinvenuto, ancora in perfetto stato, in una cassa di
cipresso, contenuta a sua volta entro un’urna di marmo “con la veste di seta
intarsiata con fili d’oro, scalza, con un velo intorno alli capelli, giacendo con la faccia
rivolta in terra, con li segni del sangue e di tre ferite sul collo”.
Il corpo,
esposto per un mese alla venerazione dei fedeli, venne poi sepolto nella cripta,
all’interno di una sfarzosa cassa d’argento. Fu in questa occasione che venne
commissionata a Stefano Maderno la celebre statua marmorea della santa,
riprodotta nella medesima posizione in cui fu ritrovata: una posa naturale,
come di chi sta dormendo profondamente, le braccia tese in avanti, le mani
semiaperte che indicano simbolicamente il mistero della Trinità, la faccia
rivolta a terra, i capelli sparsi e sul collo il segno delle ferite.
L’artista,
sebbene molto giovane e di poca esperienza, seppe ricompensare il committente
con un’opera di straordinaria bellezza. Il Maderno scelse per la scultura un
unico blocco di marmo greco, proveniente dal monte Pario, la cui luminosità
viene esaltata, per contrasto, dalla nicchia in marmo nero in cui è collocata.
Ed eccola qui, davanti a me. Un basso cancello ci divide. Non resisto. Devo
andarle più vicino. E’ ora di pranzo e sicuramente non ci sarà nessuno a rimproverarmi.
Apro il cancelletto. “Sono arrivata alla fine, hai visto?!”. E intanto guardo
incantata le graziose e colorate lampade liberty che decorano il suo sepolcro.
Questa è la parte della basilica che conserva ancora i capolavori più antichi.
Sopra la statua della santa si trova l’altare, coronato dal prezioso ciborio di
Arnolfo di Cambio, della fine del Duecento e più in alto ancora il mosaico
absidale, del sec. IX, voluto da Pasquale I.
In esso si ripropone lo schema a
sette figure, presente a Roma sia in Santa Prassede che in Santa Maria in
Domnica (detta della Navicella), entrambe ricostruite dallo stesso pontefice. Al
centro il Cristo che riceve la corona dalla mano del Padre. All’estrema
sinistra Pasquale I ( con il nimbo quadrato dei viventi e con in mano il
modello della chiesa), presentato da S. Cecilia che gli tiene una mano sulla
spalla. All’estrema destra S. Valeriano e S. Agata con le mani coperte in segno
di umiltà; S. Valeriano è presente in quanto martire e sposo di S. Cecilia,
mentre S. Agata ricorda il monastero a lei dedicato, sorto vicino alla basilica.
Nell’abside ci sono dei lavori in corso.
C’è una scala usata per accedere ai
ponteggi. Paola, non si fa! E mentre lo dico già salgo i pioli, per ammirare più
da presso uno dei mosaici più antichi e preziosi di Roma. Per i divieti non
rispettati passerò per uno di quei “santi” portali che ti assicurano l’indulgenza
plenaria. A Roma ce n’è un’infinità! Prima di uscire torno per un saluto a
Cecilia. Fuori c’è un sole splendido.
Il cortile ora è anche più bello, c'è una luce ideale. Scatto qualche foto. Mi siedo sul bordo della fontana, per un
ultimo sguardo. Cosa avrebbe detto Stendhal?! “Uscendo da Santa Cecilia avrete un battito del cuore, la vita sarà
inaridita, camminerete temendo di cadere”. Non v’è dubbio! Ho la sindrome!
Come sempre interessantissime ed esaurienti notizie e un bellissimo lavoro grazie
RispondiEliminagrazie, Luciano, mi fa piacere che sia apprezzato...io ci metto il cuore :-)
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RispondiEliminaLo stesso Filippo di facebook : interessante ........... qualcosa di Roma poco nota e piacevole ......... magari non è che soltanto a Roma basta scendere le scale per tornare indietro di 2000 anni ; mentre per i permessi sulle fotografie ........ comunque è una bella recensione , complimenti .
RispondiEliminaIncantevole..a bocca aperta a cercar ossigeno !! Dev'esser questa sindrome, risulta chiaro infatti che tu ne sei portatrice sana perché.. leggendoti si rimane infettati ! Grazie..!
RispondiEliminaportatrice...ma neppure tanto sana! ahahah!...thanks, Felide :-)
RispondiEliminaFilippo, l'ottimista?! ;-)
RispondiEliminaUna sola parola:magnifico! Questo post è incomparabile! Si legge come un romanzo di avventura e si è come sommersi nell'arte! Ed io che non ho mai visitato questa chiesa!!!
RispondiEliminaGrazie!...spero che andrai presto allora, mi piace il ruolo di "provocatrice" culturale! ;-)
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