mercoledì 5 agosto 2015

Che odore aveva la pelle di Ramtha?!



 Si chiama, in modo molto poetico e suggestivo, “archeologia dell’evanescente” ed è la scienza umanistica che si occupa del mondo dei profumi antichi. Io ne sono rimasta “folgorata” alcuni anni fa, quando, insieme ad un gruppo di ricercatori sperimentali, siamo stati incaricati dal CNR di ricostruire dei profumi, partendo da residui organici, individuati all’interno di contenitori, scoperti a Cipro e datati al 1800 a.C.!

Da quel momento il mondo del “profumo archeologico” ha cominciato ad esercitare su di me un fascino irresistibile, al punto che la mia attività di studio e ricerca ha finito per orientarsi principalmente verso questo particolare aspetto dell’antichità. Ovviamente l’esperienza sensoriale ne rappresenta un momento imprescindibile. Come fai a non essere travolta dalla curiosità di “annusare” la Storia?! Ricostruire antichi profumi è diventata una passione che ormai mi si è cucita addosso, direttamente sulla pelle, è diventata parte di me, è me!







Manipolare fiori, piante, spezie, incensi, cere, “giocare” con padelline e alambicchi vari, “assaggiare” con il naso, è qualcosa di entusiasmante che ti coinvolge ad ogni livello, professione ed emotivo. E’ un’attività che ha risvolti legati più al mondo magico-esoterico che non a quello storico-scientifico: “dissolve et coagula”! Quali sono le fonti da cui partire per ricostruire una famosa “nota” olfattiva di duemila anni fa?! Innanzitutto quelle letterarie antiche. E tra queste spicca e domina su tutte il trattato “Sugli Odori” del filosofo greco Teofrasto (IV sec.a.C). Da lui deriveranno gran parte delle loro conoscenze anche gli autori latini, Plinio in primis. Poi ci sono le documentazioni archeologiche, di scavo, a cui di recente si affianca l’attività di chimici molecolari che, grazie alle moderne tecnologie, sono in grado di individuare le componenti di antichi unguenti anche solo analizzando le pareti porose dei contenitori.
E le belle donne etrusche?! Sappiamo qualcosa in merito ai preziosi e sicuramente raffinati unguenti con cui erano solite nutrire e profumare la loro pelle?! Assolutamente si! A partire dalla metà del VII sec. a.C. e per gran parte di quello successivo, vengono importati in Etruria quantità straordinarie di unguentari prodotti nella città di Corinto. Le tombe etrusche arcaiche hanno restituito decine e decine di aryballoi e alabastra, proto-corinzi e corinzi.
L’affezione verso questo tipo di prodotto era tale che presto anche in Etruria si avvierà una produzione di ceramica etrusco-corinzia, commercializzata e distribuita in tutto il Mediterraneo, che aveva proprio negli unguentari la sua punta di diamante.
Cosa contenevano queste deliziose, e perlopiù minute, ceramiche prodotte a Corinto, che faceva letteralmente impazzire le ricche signore dell’aristocrazia etrusca?! Ce lo dice Plinio, nella “Naturalis Historia”, quando, parlando proprio dei profumi greci, ci informa che Corinto era famosissima per il suo profumo a base di rizoma (radice) di iris. Come era ottenuto questo profumo ce lo “spiffera” invece il caro Teofrasto: rizoma di iris essiccato per cinque anni, lasciato macerare a freddo in olio.

Eccezionale è stata poi la scoperta, a conferma delle fonti scritte, di un unguentario corinzio con scritto sopra proprio il nome del profumo: Irinon! E poiché gli Etruschi erano un po’ i Cinesi del mondo antico, nel senso che “scopiazzavano” di tutto, nessuno mi toglie dalla testa che anche loro, all’interno degli unguentari etrusco-corinzi, distribuissero lo stesso tipo di essenza, ovviamente a prezzi concorrenziali. Basti pensare all’antica tradizione della coltivazione del giaggiolo in terra etrusca, soprattutto in Toscana, al punto che il giaggiolo, o iris, o giglio fiorentino, è diventato non solo il simbolo di una città, che vanta da sempre origini etrusche, ma anche quello di una nobile casata “radicata” nello stesso contesto dove visse l’antico ethnos italico: i Farnese.

Mi piacerebbe in un futuro approfondire anche questo interessante aspetto, al momento buttato lì solo come invitante suggestione. L’Irinon è un profumo dolce e gradevole. Essendo derivato da una radice ha la calda sensualità della terra. Il fatto di essere un profumo in olio lo rende instabile e perciò “vivo”. Niente a che vedere con i nostri alcolici profumi di sintesi! Interagisce con la pelle con cui viene a contatto, e cambia di continuo le sue caratteristiche pur mantenendo la sua “nota”. Chiudere gli occhi e immaginare le movenze di una danzatrice etrusca che ci inebria con il suo odore rappresenta un’esperienza “altra” del mondo antico, molto più reale e coinvolgente. Adoro portare in giro questi profumi e farli “respirare” alla gente (ovviamente non ho le capacità di una produzione industriale, ma se qualcuno è curioso di “provare” questo profumo può contattarmi in privato). Mi piace leggere lo stupore e la meraviglia sui loro volti, e quell’incanto che solo ciò a cui diamo il nome di “magia” sa suscitare.





“Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, davanti alla bellezza, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non potevano sottrarsi al profumo. Poiché il profumo era fratello del respiro.”

(tratto da “Il profumo” di P. Suskind)